Analizziamo la copertina di “Houses of the Holy, Led Zeppelin”

La prima collaborazione fra Led Zeppelin e il gruppo di creativi Hipgnosis.

Houses of the Holy, uscito nel 1973, è il quinto album della leggendaria formazione inglese. E’ un album senza dubbio peculiare, che costituisce una decisa sterzata rispetto alle produzioni precedenti. E le sue peculiarità non si esauriscono certo nel fatto che si tratta del primo album dei Led Zeppelin con un titolo vero e proprio (i quattro precedenti, come saprete, sono esclusivamente numerati e, originariamente, anche questo doveva essere privo di titolo).

Le sonorità rock blues proprie delle prime quattro produzioni sono certamente presenti, ma il carattere solare e meno cupo (fatta eccezione, forse, per No quarter), gli accenni di rock progressivo, di funk (The Crunge), addirittura di reggae (D’yer Mak’er, che, in dialetto cockney, suona come Jamaica), dimostrano la poliedricità del mitico quartetto.

E la sua copertina? Beh, quando vi sveleremo chi l’ha curata, quando vi diremo come è stata realizzata, quando ci interrogheremo insieme, senza trovare una risposta, sui possibili significati occulti, capirete per quale ragione la copertina di Houses of the Holy è stata inserita, dalla rivista Rolling Stones, al 50° posto fra le 100 migliori cover della storia della musica.

Location e ispirazione

Nonostante l’immagine sembri, soprattutto per i suoi colori surreali, esclusivamente un’opera grafica, essa proviene da una sessione fotografica svoltasi in un sito assai noto e affascinante. Si tratta del Giant’s Causeway o Selciato del Gigante(preferiamo risparmiarvi il nome in Gaelico), una formazione mozzafiato di colonne basaltiche (40mila!), a forma prevalentemente esagonale, situata nella Contea di Antrim, in Irlanda del Nord.

Il selciato, secondo una versione delle numerose leggende riguardanti questa meraviglia geologica, sarebbe stato costruito, appunto, da un gigante di nome Finn McCool per raggiungere la Scozia e battersi contro un altro gigante, Benandonner.

E, in effetti, in Scozia esiste una formazione analoga, chiamata Fingal’s Cave.

Stefano Viola – Fingal’s Cave

Gli scienziati ci hanno tenuto, però, a precisare che le scaramucce tra giganti c’entrano ben poco: un’immensa esplosione vulcanica, avvenuta 60 milioni di anni fa, avrebbe generato questo fenomeno naturale, scelto come location per gli scatti.

Immagine da wordsinfreedom.com

Chi ha ideato la copertina di “House of Holy” dei Led Zeppelin?

Qua tornano in gioco le leggende, quelle in carne ed ossa però; quelle che sono state in grado di contribuire, in modo indelebile, alla storia della musica senza bisogno di suonare neppure una nota. Mi riferisco allo studio Hipgnosis. Forse questo nome non vi dirà niente, e forse neppure il nome di uno dei suoi principali artefici e creatori, Storm Thorgerson

Se pensate, però, che The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd è opera loro (oltre a tante altre copertine immortali) capirete immediatamente la sua importanza.

Houses of The Holy è tra queste e il lavoro prevalente di realizzazione spettò al socio di Thorgerson, Aubrey Powell, grafico e fotografo.

Powell e Thorgerson
Powell e Thorgerson

L’immagine prende ispirazione da un libro di fantascienza di Arthur C. Clarke, Childhood’s End, vale a dire “la fine dell’infanzia”(da qui, l’immagine dei bimbi che si innalzano scalando la collina verso il cielo e lo spazio).

Ad ogni modo, l’idea proposta piacque ai Led Zeppelin. Inizialmente, si era pensato di effettuare la sessione fotografica in Perù, ma poi si decise di optare per la più comoda e vicina Irlanda.

Aubrey Powell ricorda che i dieci giorni di scatto furono infernali, a causa delle condizioni climatiche e della pioggia (chissà se in Perù le cose sarebbero andate allo stesso modo).

Proprio a causa del tempo inclemente, Powell abbandonò l’idea di scattare a colori, concentrandosi sull’utilizzo di pellicola in bianco e nero. Successivamente, si sarebbe provveduto ad aggiungere il colore all’immagine.

Una prima curiosità sta nel fatto che il colore dei bambini non doveva essere quello. Powell aveva pensato di dipingerli in argento e oro, ma il grafico che si occupava della tinteggiatura, per errore, versò sulle loro immagini della colorazione magenta. E la cosa piacque.

La seconda curiosità sta nel fatto che l’immagine non è costituita da un singolo scatto, ma si tratta della sovrapposizione di 30 scatti, in cui sono stati immortalati, in varie pose, solo due bambini, replicati fino ad ottenere undici distinte figure. Anche senza l’ausilio di Photoshop, al tempo, si era in grado di compiere imprese mirabolanti. I bambini sono Stefan e Samantha Gates, fratello e sorella.

Stefan, che all’epoca aveva solo cinque anni e che oggi è un presentatore della BBC, ha avuto modo di parlare in più occasioni della copertina dell’album e della esperienza trascorsa in quei dieci giorni.

Ha affermato di ricordare perfettamente la stanchezza nello svegliarsi alle 4 del mattino (lo shooting veniva poi replicato al tramonto) e il freddo sofferto; ha aggiunto, inoltre, di non sentirsi particolarmente a suo agio di fronte a quell’immagine così misteriosa e inquietante.

Ma ha anche riconosciuto, a questa immagine, il ruolo di portafortuna per la carriera intrapresa ed ha affermato di voler, un giorno, tornare sul Giant’s Causeway, spogliarsi integralmente ed ascoltare l’album a tutto volume! In effetti, vi è tornato per un’intervista della BBC nel febbraio del 2010, ma, a quanto ne sappiamo, non si è tolto alcun indumento.

Stefan Gates al Giant’s Causeway

House of Holy: significati dell’immagine del retro copertina?

Se può essere definita inquietante l’immagine della main cover, che dire della parte retrostante della copertina? Un uomo che innalza al cielo e verso un raggio di luce, in un atto che potremmo definire sacrificale, il piccolo Stefan, ai piedi delle rovine di un castello.

Retro copertina dell’album “House of Holy” dei Led Zeppelin

Il castello in questione è il Dunluce Castle, un maniero abbandonato sul finire del XVII secolo, situato a pochi chilometri di distanza dal Sentiero del Gigante.

Si sono sprecate le illazioni da parte di coloro che pretendono di scovare Satana, oltre che tra le parole (a dritto e a rovescio) dei testi musicali, anche nelle immagini degli album più controversi. Si dice che Jimmy Page fosse non solo influenzato, ma addirittura ossessionato da Aleister Crowley, occultista deceduto nel 1947 e indiscussa autorità in questo campo. Page acquistò addirittura Boleskine House, che era stata abitazione di Crowley fino al 1919, situata sulle rive del lago di Loch Ness ed avrebbe anche cercato di appropriarsi dell’Abbazia di Thélema, che si trova in Sicilia e in cui Crowley ha vissuto durante gli anni 20 (secondo alcuni, il titolo dell’album farebbe riferimento proprio a queste dimore).

L’occultista inglese, nel suo Libro della Legge, fa riferimento a sacrifici in favore della luce. Posto che Lucifero, dal latino, significa “portatore di luce”, l’immagine della copertina posteriore dell’album sarebbe un ulteriore tributo a Crowley e al dio degli inferi. Semplice no?

Personalmente, mi piace più il riferimento fantascientifico al libro di Clarke, ma ognuno è libero di pensarla a modo suo.

Un’ultima curiosità: il disco era avvolto da una sottile etichetta su cui erano indicati nome della band e titolo dell’album e che doveva essere rotta per consentirne l’apertura. Non era solo questione di packaging, ma serviva a coprire la nudità dei bambini in primo piano, al fine di evitare polemiche o censure.

Come successe per il disco “Nervermind” dei Nirvana, a Cobain vennero sollevati gli stessi problemi, ma qui la soluzione fu di evitare etichette coprenti…i tempi, dal 1973, erano decisamente cambiati!

Per concludere, The Houses of The Holy non solo è un album sui generis nella produzione musicale dei Led, con nuove sonorità che, ai fan della prima ora, avranno inizialmente fatto storcere la bocca; ma segna anche la loro prima collaborazione con lo studio Hipgnosis di Torgershon & C..

Non ne seguiranno molte altre, a dire il vero, e la cosa può sembrare difficilmente comprensibile, visti i riconoscimenti che la copertina ha ottenuto in ambito mondiale.

Ma è inutile porsi troppe domande; fortunatamente, la storia del rock non ha mai seguito sentieri prevedibili e scontati.

Di Stefano Teti

Una Nikkormat degli anni '70 trovata in un cassetto ed un manuale di John Hedgecoe. Da qui parte il mio amore per la fotografia; un amore che, per fortuna, non sembra avere fine!

Lascia un commento